Gli ultimi anni di Vinicius de Moraes furono consolati dall’affetto di un giovane chitarrista brasiliano dal corpo smilzo e il viso pulito, cui il nomignolo (era la madre a chiamarloo meu toquinho de gente, il mio pezzettino, tocchetto d’uomo) aderiva come una seconda pelle non come omaggio alla inviolabile usanza popolare.
I baffi ne rendevano ancora più smarrito lo sguardo e sembravano reclamare l’ombra di una coppola, spingendo Leone Piccioni, scrittore e musicista molto affermato, autore di colonne sonore di successo, a ipotizzarne ascendenze calabresi. E sangue etichettato come calabrese è continuato a scorrere per anni nelle vene del giovane, almeno secondo la pigra pubblicistica italiana.
Del resto al Toquinho di allora interessava piuttosto condividere con il pigmalione de Moraes gli ultimi scampoli di un’esistenza di poesia e musica, seppure nell’atmosfera parecchio decadente di camere d’albergo ingombre di valige e bottiglie di whisky, piuttosto che sciogliere gli intrighi anagrafici nascosti nel suo vero nome, Antonio Pecci, di evidente origine italiana…
>>> Clicca e continua a leggere il fascicolo con le vicende della famiglia Pecci di Toro e di San Paolo del Brasile. Il fascicolo, distribuito in occasione del “Toquinho Toro Festival 2008”, ripropone l’articolo comparso su «Il Bene Comune», Luglio/Agosto 2002, con qualche aggiunta.
Ma Toquinho non era quello di Acquerello? Doveva essere il 1984
è lui o non è lui?
Certo che è lui.
Ma siamo nel 1982.
MA ci sei ancora in giro? Che piacere ritrovarti!
Un salutone,
Anna 🙂
Ci sono e non ci sono. Purtroppo.
Un sorriso anche a te 🙂