A proposito di Vincenzo De Lisio


Vincenzo De Lisio (1906), ritratto dal figlio Arnaldo De Lisio. Olio su tela, cm. 87×66. Collezione famiglia De Lisio, Napoli.

A proposito di Vincenzo De Lisio

Il mecenate

Di Vincenzo De Lisio (Castelbottaccio 1833-1919), poeta, folclorista, glottologo, uomo politico, nonché pittore e padre del pittore Arnaldo (1869-1949), si è occupata di recente Michela D’Alessio. L’Autrice, cultore della materia presso la Cattedra di Letteratura Italiana all’Università degli Studi del Molise, nel giro di pochi mesi ha dedicato al poliedrico personaggio ben tre interventi: il primo in un volume collettaneo su Castelbottaccio, altri due su riviste.

Si tratta di testi con ripetizioni, aggiustamenti e integrazioni nei vari passaggi, ma l’intento di queste iniziative rimane altamente meritorio, venendosi a specchiare, nella personalità di Vincenzo De Lisio, quella figura del galantuomo tardo-ottocentesco al quale Castelbottaccio in particolare ma anche tutto il Molise devono profonda riconoscenza. Riconoscenza dovuta, va anche detto, più per le cose che sfuggono alla trattazione dell’illustre studiosa, che non per quelle effettivamente trattate.

Prendiamo come primo esempio le attenzioni che De Lisio dedicò a un giovanissimo Francesco Jovine, contribuendo con un notevole apporto alla sua formazione. Jovine lo ripagherà, in Signora Ava, mettendo una buona parte di Vincenzo De Lisio nella figura di don Giovannino de Risio…

>>>> Continua a leggere l’articolo di Giovanni Mascia, A proposito di Vincenzo De Lisio, in «Utriculus» n. 40, ott./dic. 2006.

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4 commenti su “A proposito di Vincenzo De Lisio

  1. musapensosa il said:

    Cari amici,

    miseria e fatica sono state il pane quotidiano delle vecchie generazioni e i nostri nonni lo ricordano fin troppo bene quel triste binomio!

    Le bocche da sfamare a quei tempi erano sempre tante, troppe e molte volte non bastava il solo raccolto, frutto del duro lavoro dei campi, a mandare avanti la baracca; così, chi non aveva la fortuna di possedere una scrofa con tutti i suoi piccoli, acquistava uno o due maialini e li allevava, sperando di ricavarne il necessario per sopravvivere.

    La malasorte, però, era sempre in agguato: ogni tanto ne moriva uno all’improvviso e una grande sciagura si abbatteva sulla casa di chi, dopo aver fatto enormi sacrifici per acquistarlo quel maiale, alla fine si ritrovava senza “carne” e senza “roba”.

    Ma a tessere la trama della malasorte non era solo il destino. Spesso, infatti, mancavano sia il cibo, sia le cure veterinarie indispensabili per la salute di quegli animali.

    Morto uno, era praticamente impossibile comprarne un altro: i soldi erano finiti ormai, e quella era la disperazione più grande, soprattutto per chi quei soldi li aveva dovuti chiedere in prestito. E allora, l’evento luttuoso faceva davvero sprofondare il poveretto nel baratro più totale.

    Un giorno mia nonna, con voce sommessa, mi raccontò di quella volta che entrò nella stalla e quasi le si fermò il cuore quando vide a terra esanime “quillu bèlle perchjtte”. Rivedo ancora i suoi occhi lucidi di commozione, perchè con quegli stessi occhi lei lo aveva cresciuto quel povero maiale, sperando di poter pagare finalmente tutti i suoi debiti a lavoro ultimato. Ed ora, invece, un destino impietoso le si era rivoltato contro.

    Ma a quei lutti, sfortunatamente, mia nonna dovette abituarsi perchè negli anni successivi fu colpita più volte dalla stessa disgrazia.

    A lei dedico con affetto questo mio limerick.

    A Rrebbetélle

    U iette a ddice a mamme a Rrebbetèlle:

    – U púrche è mmúrte e mo’ si’ peuerèlle!

    Perdúte carne e rròbbe

    n’a pu’ ‘ddrezza’ ‘ssa gòbbe,

    sèmpe chiù stracche e strútte a Rrebbetèlle.

    A RIPITELLA. Andò a dirlo [di corsa] a mamma a Ripitella: / – Il [tuo] maiale è morto e adesso sei poverella [non hai più niente]! / Dopo che hai perso carne [il maiale] e roba [i pochi soldi che avevi] / non la puoi più drizzare questa gobba [schiena incurvata], / sempre più stanca e distrutta [dal lavoro] a Ripitella.

    Distinti saluti

  2. musapensosa il said:

    I versi che ho il piacere di proporvi, amici, sono un omaggio ai miei genitori. Sono stati scritti per festeggiare un avvenimento molto speciale: le loro Nozze d’Oro.

    Gli eventi della vita spesso ci travolgono, pertanto non a tutti è concesso di approdare a questo felice traguardo.

    Vorrei dedicare “L’anello d’oro” a tutti coloro i quali, avendo questa fortuna, si accingono a festeggiare i fatidici cinquant’anni di matrimonio, una tappa memorabile nella vita di coppia.

    L’anello d’oro

    Un anello d’oro

    non ha né inizio né fine

    ma è promessa infinita

    di gioia futura.

    Il passato ci culla,

    il futuro ci guarda,

    ci attendono ancora

    sempre nuovi traguardi.

    E se ad un tratto

    la gioia s’annebbia,

    la tua mano sicura

    abbraccia forte il mio cuore.

    E torna il sereno con tutto l’amore.

    Il braccio e la mente

    vincenti saranno

    se insieme si fondono

    senza far danno.

    La vita riserva

    sempre nuove sorprese

    a chi tende le braccia

    senza tante pretese.

    Mezzo secolo va…

    e porta via con sé

    note tristi e felici

    di una bella canzone

    che solo il tempo futuro

    finirà di cantare,

    in un coro gioioso

    di note d’amore.

    Un abbraccio

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