Voi protestate? E io applaudo

Lettera aperta di Giovanni Mascia a Mario Tanno, Daniela Airoldi Bianchi, Massimo De Rita e a tutti gli interpeti di E io protesto! (Ripalimosani, 13 agosto 2007)

 

Caro Mario, cara Daniela, caro Massimo e cari amici di Ripa,

ho avuto la fortuna di assistere alla vostra serata del 13 agosto a Ripalimosani, che senza mezzi termini considero l’evento artistico dell’estate molisana 2007. È stata un’emozione indimenticabile assistere allo spettacolo di un’intera comunità che si è riversata sul palcoscenico e in platea per rivivere alcuni momenti salienti del proprio passato. Non si è trattato solo di una rievocazione storica, quanto piuttosto di una vibrante esperienza di teatro e di vita. Si poteva cadere nel didascalico o, peggio, nell’apologetico o, se si vuole, nella consolazione campanilistica. Invece, grazie al vostro talento e all’entusiasmo a supporto, la rappresentazione ha dato vita a momenti di scoppiettante umorismo (alludo per esempio alle proteste dei popolani al cospetto del notaio Amoroso di Limosano nel 1734), di tragica, sofferta e sdegnata denuncia (lo stupro settecentesco per opera del signorotto del paese denunciato presso lo stesso notaio e nello stesso anno dai genitori della sedicenne Rosaria Trivisonno), di epico lirismo (il grido dignitoso del brigante Coccitto, fucilato dopo il crollo della Repubblica partenopea, la cui testa tagliata fu posta in una gabbia di ferro e appesa allo spigolo del castello, per spaventare e ammonire la popolazione), di vera e propria epopea popolare (le donne di Ripa, capeggiate da Rebecca, che si ribellano contro la requisizione del grano ordinata dal prefetto di Campobasso nel 1920)… Do per richiamati e commentati anche gli altri quadri, in particolare l’ottavo dedicato al celebre abate Longano e il decimo ai cugini Tanno, che portarono in paese “le nuove idee di socialismo”. Azzeccato e giusto, soprattutto, l’undicesimo quadro che suggella il lavoro in maniera encomiabile grazie all’esperienza del profugo curdo Hikmet, ospite nel vostro paese. Con il resoconto dei soprusi patiti per motivi etnici e la condizione di emigrante, il giovane Hikmet ha rilanciato verso il futuro le esperienze storiche sofferte dalla popolazione ripese nell’arco dei secoli, in un contesto che si allarga ad abbracciare il mondo intero. Come sottolineato nel pieghevole di presentazione dell’opera, in tal modo la storia di protesta di Ripa “da locale diventa inesorabilmente globale”.

 

Bravi ancora e bravi davvero per una rappresentazione, la vostra, che resterà negli annali ripesi com’è naturale, ma anche negli annali della regione tutta. Però verrei meno a un precetto imposto dall’amicizia se mi limitassi ai complimenti, omettendo una segnalazione che reputo doverosa e che io devo a mia volta al compianto Giulio Di Iorio. Non ho avuto il piacere di vedere da voi rievocato un episodio del passato di Ripalimosani, che forse caratterizza l’indole del ripese e la sua storia di più e meglio degli episodi drammatizzati. Voglio dire che un fidanzato o un marito pronto a passare alle vie di fatto con il barone di turno per tutelare l’onore della donna c’è stato a Ripa, ma anche in altri centri molisani. Così povericristi che hanno denunciato davanti al notaio, in “pubblico testimonio”, le angherie perpetrate dal signorotto armato di sciabola o sciabolotto. E hanno versato il sangue nelle cicliche rivoluzioni o le lacrime più amare nel lasciare i propri cari e varcare l’oceano. Lo stesso vale per gli strenui difensori del magro raccolto su cui hanno posto le grinfie i galantuomini: con altro nome, Rebecca ha sventolato la bandiera della fierezza anche in altre comunità molisane. Perché contro il dolore, il sopruso, la fame, il grido di protesta si leva naturalmente. Invece, Ripa e i ripesi devono andare fieri anche di un episodio che non è direttamente collegato ai morsi della fame, né all’indigenza estrema, né tantomeno a un impellente desiderio a spezzare il giogo dell’oppressione. Un episodio che non sfigura accanto a quelli da voi rievocati e rappresentati e che, a mio povero avviso, comprova in maniera definitiva il carattere altero e fiero dei vostri antenati.

 

Dopo le elezioni politiche del 1924, che in un clima di minacce e intimidazioni sancirono il trionfo del fascismo (in Molise si registrò il record dell’89% dei voti a Mussolini), ogni più sperduto borgo d’Italia fu costretto a intitolare una via centrale a Roma capitale. Giacché c’erano, la piaggeria dei molisani arrivò al punto di intitolare a Termoli una piazza allo stesso Mussolini, quasi non bastassero le cento e una piazza o strada che in ogni dove si intitolavano al XXVIII ottobre, alla marcia su Roma, alla rivoluzione fascista. I consigli comunali del Molise si impegnarono allora in una umiliante corsa per deporre ogni residuo briciolo di onore ai piedi del Duce, cui furono offerti le chiavi e la cittadinanza onoraria di tutti i borghi del Molise. Tutti, con una eccezione: Ripalimosani.

 

Non so se a conservare dritta la schiena dei ripesi furono i popolari di Michelino Camposarcuno o di Giovanni Janigro, piuttosto che i liberali di Vittorino Cannavina o i simpatizzanti demomassonici di Errico Presutti oppure i socialisti orfani dei due cugini Tanno, da voi tanto opportunamente ricordati e onorati. Probabilmente interagirono tra loro le varie correnti antifasciste ripesi. Certo a Mario riuscirebbe agevole dare un nome al sindaco e ai consiglieri che seppero conservare la dignità di uomini liberi per loro e per i loro amministrati, ma non è necessario. Pare più giusto ricordarli così, senza nome, in modo da non ricondurre a poche persone ma a tutta la collettività ripese l’anelito alla stima di se stessi, in quanto uomini liberi che non si inginocchiano davanti a nessuno, nemmeno al più truculento dei baroni né al più paternalistico (e truculento) dittatore. Gli uomini liberi non si inginocchiano e non temono le minacciate rappresaglie e succeda quel che deve succedere.

 

Caro Mario, cara Daniela, caro Massimo e cari amici di Ripa,

vi allego in collage il trafiletto rievocativo della vicenda, scusandomi per la pessima resa tecnica. Comparve il 30 novembre 1924 su “La vita del Molise”, il battagliero quindicinale dei democratici di Presutti, diretto da Giulio Colesanti, che esordiva in pari data come organo per la provincia di Molise della “Unione Nazionale” di Giovanni Amendola, e in seguito sperimentò più volte il torchio della censura dei fascisti e si vide sequestrare diversi numeri, prima di cessare definitivamente le pubblicazioni nel 1925. Nell’editoriale del 30 novembre 1924, i liberali e i democratici del Molise rivendicarono con orgoglio di essere stati tra i primi a contribuire alla organizzazione della “Unione Nazionale”, la nuova associazione politica che cercava di riorganizzare le forze antifasciste liberali, sottolineando con soddisfazione il ruolo di Vittorino Cannavina, chiamato nella prima riunione preparatoria a rappresentare gli aderenti dell’Abruzzo e del Molise, e addirittura a presiedere l’adunanza.

 

Ancora suggestionato dalla serata del 13 agosto, nel rileggere il trafiletto mi è capitato di immaginarne una trasposizione drammatica che ho vagheggiato subito dopo l’intervento paternalistico di quattro anni prima dello stesso senatore Cannavina a tacitare con modi tanto suadenti Rebecca e le sue compagne. Come si legge a chiare lettere nel resoconto pubblicato anonimo da “La vita del Molise”, Ripalimosani ebbe il coraggio (e davvero si trattò di coraggio con i tempi che correvano) di non corrispondere all’invito del prefetto e a persistere nel rifiuto di concessione della cittadinanza a Mussolini, anche a seguito di insistenti pressioni. Fu un atto di dignità il loro che onorò altamente Ripalimosani e a quell’atto con questa mia lettera aperta voglio rendere omaggio.

 

Spero che come tale torni gradito anche a voi. Rinnovando gli apprezzamenti per il vostro lavoro, ringrazio a nome mio, di mia moglie e di mia figlia, per la bellissima serata che ci avete regalato e saluto con viva cordialità

 

Giovanni Mascia

Campobasso, 16 agosto 2007

 

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3 commenti su “Voi protestate? E io applaudo

  1. musapensosa il said:

    Cari amici,

    ricordo sempre con piacere una tra le figure più simpatiche e pittoresche della mia infanzia: il “capellaro”.

    Oggi un “capellaro” è praticamente introvabile ma un tempo questi ha segnato, insieme all’ombrellaio, il calderaio, il nevieraio e a molte altre professionalità ormai scomparse, la vita economica del nostro e di altri piccoli paesi.

    Il “capellaro” arrivava a Toro e faceva ogni volta man bassa di chiome: quanti “tuppi” rimpiccioliti, code accorciate e look irrimediabilmente stravolti, avrà avuto sulla coscienza!

    C’era allora chi, anche se con non poco rammarico, si tagliava le trecce, chi invece i capelli li spuntava solo un pò, ma tutti serbavano finanche le piccole ciocche rimaste imprigionate tra i denti del pettine perché era bello potersi permettere ogni tanto qualche piccolo “genere di lusso”. E quello di vendere i propri capelli era proprio una buona trovata: poteva quindi dirsi fortunato, a quei tempi, chi aveva una ricrescita veloce.

    Il “capellaro” girava instancabilmente per le vie di Toro portando con sé un cesto di vimini pieno di chincaglierie d’ogni genere, che andavano dal pettine o la forcina per capelli, al piatto di ceramica e questi erano gli oggetti che poi barattava con i capelli.

    Rifilava anche portafogli, ma vuoti, come annunciava lui stesso a tutti a gran voce, mentre faceva il suo giro: – Iamme i portafoglie vacante, ca iè ‘rrevate u capellare!

    Mia nonna, ricordo, era tra le fedelissime che non mancavano mai a quell’appuntamento e, all’arrivo del capellaro, chiamava insistentemente a raccolta anche tutte le altre vicine. Le vedevi, allora, tutte col capo chino intente a scrutare quella preziosa mercanzia, mentre tenevano ben stretta in mano la loro bandiera: i capelli da negoziare.

    Molto hanno perso le nuove generazioni che, non avendo conosciuto queste importanti figure professionali del passato, non ne possiedono oggi il ricordo per me preziosissimo.

    E a loro dedico questo mio nostalgico limerick.

    Un cordiale saluto al Paesanino e ai vecchi amici del blog

    Musa pensosa

    U capellare

    Menjve sèmpe a Ture u capellare

    e ‘na sacchétte jgnéve ca ranare;

    de capjlle ‘ntrecciate,

    ma quanta n’ha scagnate

    che’ pèttene e spadjne, u capellare!

    IL “CAPELLARO”. Veniva sempre a Toro il “capellaro” / e un sacco riempiva con la scopa; /di capelli intrecciati, / ma quanti ne ha scambiati / con pettini e forcine per capelli, il capellaro!

  2. musapensosa il said:

    In occasione del Santo Natale voglio augurare Buone Feste al Paesanino e ai fedelissimi del vecchio blog.

    A tutti voi, amici, dedico con gioia questi versi natalizi. Vi giunga con essi il mio messaggio d’amore e di pace.

    Buon Natale e Felice Anno Nuovo

  3. musapensosa il said:

    E’ nato

    Un Bimbo è appena nato

    e aspetta il tuo saluto.

    Un Dio s’è fatto uomo per amore

    e per amore abbraccerà il dolore.

    Nella fierezza di esser uomo come te,

    darà risposta a tutti i tuoi perché.

    Son lì già angeli e pastori

    che al Bambinello hanno portato i loro cuori.

    La Cometa li ha accompagnati

    ed ora sulla capanna si è fermata.

    Resta qui per brillare con amore

    di luce nuova per Nostro Signore.

    È un Re, ma gli mancan panni e fuoco:

    se non li avessi, tu saresti un infelice.

    Ma Lui ben altre ricchezze ha avuto in dono:

    gli abbracci di una Mamma tanto cara

    e lo sguardo di un Vecchietto che l’adora;

    ma manchi tu davvero,

    per far brillare l’ultima stella in cielo.

    Manchi tu in questa Notte di candore.

    Entra nella grotta, va’ a pregare.

    E non c’è bisogno di parole,

    ciò che tu vuoi sa leggerlo nel cuore.

    Quella boccuccia sussurra il nome tuo,

    quegli occhi dolci ti vogliono guardare.

    Su, corri da Lui, non esitare!

    Tu prigioniero delle tue catene,

    libera le ali

    e spicca un volo alto verso il sole.

    Offrigli le tue pene ed il tuo amore,

    non c’è gioia più grande per il Signore.

    Lui ti stringerà a sé senza respiro

    lasciando un segno indelebile nel cuore:

    e in quell’abbraccio io vorrei morire!

    Ed ora voglio offrirgli anch’io me stessa in dono

    ed invocare per sempre il suo perdono.

    Un vento di serenità e di pace

    si spande ovunque in questa Notte di Natale,

    poi il luccichio di stelle più lontane

    arriva nella grotta e vi rimane.

    Il coro degli angeli fa festa

    e il mondo degli umili s’appresta

    a vivere con gioia il grande Evento,

    prostrato ai piedi di un Bambino

    che racchiude in sé l’umano ed il Divino.

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