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10 commenti su “Sotto il Barbacane

  1. anonimo il said:

    Come no? Lo ricordo anch’io. E ricordo che sulla paglia del forno, trovavano alloggio i poveri che da Campobasso e da altri paesi venivano a Toro per il convito a San Giuseppe.

    Vecchi e ragazzi, maschi e femmine, tutti insieme in quella specie di antro del ciclope.

    E noi ragazzi ci divertivamo a buttar loro pietruzze o torsoli di mele attraverso l’inferriata della porta.

    Saluti

    Giovanni

  2. anonimo il said:

    Nel 1953 i miei genitori, credendo di far vita migliore. rilevarono il forno di san Rocco. Pagavano in pochi e solo col pane. Mio padre il 13 giugno fu graziato da s.Antonio perchè recatosi a prelevare la paglia per il forno con due muli, il gran mucchio “franò” e papà vi rimase sotto per più di un ora. Pensava di soffocare , quando , gridando aiuto al Santo, improvvisamente fu libero. Il giorno dopo si liberò anche del forno.

  3. anonimo il said:

    Una mattina , molto presto, s’avviò la comara al forno con le sue sei ceste piene di panelli ancora caldi. Era troppo presto, a quell’ora solo il fornaio era sveglio per preparare il forno con la paglia. Ma la comara lo sapeva perchè ogni giorno non faceva altro che rimirare le possente braccia del fornaio che , come il pane, emanavano un forte e intenso odore di sudore ma di più quella folta peluria nera era per lei richiamo ad una libidine sfrenata. Era questa che alimentava i suoi dogni erotici ogni notte sicchè non ne poteva più. Al fornaio non parve vero che costei potesse rimirarlo con le sue luminiscenze di fuoco, ben eloquenti su cosa volesse quella mattina.

    Fu così che quella mattina il fornaio, invece di dar fuoco alla paglia diede fuoco a se stesso.

    E’ inutile dire di quale pane si alimentò ogni mattina la comara.

    Se ne alimentò tanto che tutti spiavano il suo ventre gonfio, colpevole di appartenere ad una comara vedova.

  4. anonimo il said:

    Arrivò che per il fornaio la resa.,

    la resa alla fame e unica laternativa era cercarlo latrove il pane.

    Vendette tutto ciò che aveva, andò dal sovragente e gli ordinò un bilgitto per la neve Saturno che lo avrebbe portato in Argentina, dove, del resto c’erano già tutti i suoi fratelli. Saluto’ la moglie e il paese intero e con la corriera andò a Napoli. Volle per forza accompagnarlo la cognata. Caparbia aveva preteso di accompagnarlo anche se non c’era affetto tra loro. All’indomani cercò i documenti nella valigia per recarsi al molo. Niente. Rovesciò tutto il contenuto della valigia per terra, ma dei documenti niente. Sfinito chiese alla cognata perchè non l’avesse aiutato nel cercare i documenti, senza dei quali non poteva imbarcarsi.Con sarcasmo lei disse si averli fatti mangiare ai pesci i suoi documenti. Fu così che all’indomani , quando lo rividero per il paese insieme alla cognata, tutti ne risero.

    Il pover’uomo era colpevole di aver scoperto, in flagrante, la cognata insieme ad un uomo. E costei non voleva che il marito, sapesse l’amara verità dal fratello appena sbarcato in Argentina. Lei raggiunse felice, qualche anno dopo, il marito ma costui amava un’altra donna.

  5. Paesanino il said:

    Grazie, amico dei commento #5 e 6, apprezzo lo spirito che ti spinge ad arricchire i miei post con gustosi aneddoti e con versi.

    Grazie e buona giornata.

  6. anonimo il said:

    Il figlio del fornaio si recava presto a servir messa la convento. Ma non sempre era puntuale, sicchè il padre guardiano gli riservò una cella vuota per farlo dormire in convento. Era la cella di fra Giocondo. Povero bimbo, non era abituato al silenzio e alle tenebre del chiostro, alle urla isteriche di P. Pasquale ma sopratutto non sopportava buttare lo sguardo sul teschio, posto sul comodino di fra Giocondo. La prima notte, resistette fino alla mezzanotte: non ne poteva più delle grida provenienti dalla cella dell’anziano P.Giacinto, che , tra l’altro non la faceva mai dove doveva farla, perchè ormai arteriosclerotico non capiva più.Spesso la riversava fuori dalla cella e l’odore nauseante era insopportabile. Fu così che il figlio del fornaio scappò dal convento a mezzanotte. Ormai fanciullo scappò anche dal collegio serafico dove lo avevano portato per fargli venire la vocazione. Lì capì quanto fosse forte in lui la vocazione per le donne.

    Era così forte che spesso fuggì da loro, ma non amezzanotte, molto prima.

  7. anonimo il said:

    se, eventualmente interessassero altre storie del fornaio e della sua famiglia, sono disponibile ma non vorrei tediarvi … il figlio del fornaio.

  8. Paesanino il said:

    Caro figlio del fornaio,

    grazie per la disponibilità. Le tue storie sono bene accette, anzi gradite. Puoi inserirle quando vuoi. Se fossi in te, però, mi comporterei così.

    1) Starei più attento alla forma. Non parlo dei tanti errori di battitura (che pure andrebbero evitati) ma di logica. P.e., nel post #5 scrivi

    “Ma la comara lo sapeva perchè ogni giorno non faceva altro che rimirare le possente braccia del fornaio che, come il pane, emanavano un forte e intenso odore di sudore“. Rifletti: un pane che emane un intenso odore di sudore: roba da non mangiarne più per tutta il resto della vita! Quindi attenzione. Non aver fretta. Prenditi tutto il tempo che vuoi, anche perché

    2) io conto di continuare a pubblicare poesie per molti mesi ancora. Sarei quindi onorato se i tuoi aneddoti potessero accompagnarmi in questo mio lento ma sicuro cammino, di volta in volta.

    3) Cerca di inserire i tuoi aneddoti dove meglio sono in linea con il post di partenza. P.e., i tuoi ricordi d’infanzia al convento, io non li avrei mai messi qui; ma li avrei messi in calce al post “Il monaco corridore” o in quello intitolato “Via del convento”, dove appunto ci sono versi su monaci e sul convento. Ti pare?

    Grazie ancora.

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