‘A cèrquela m’ha date ‘a glianne
‘a glianne ‘a so’ ddate u purche
u purche m’ha date ‘a nzógne
‘a nzógne a so’ ddate u ferrare
u ferrare l’ha date u mantece
u mantece l’ha date u fuche
u fuche m’ha date ‘a fàuce
‘a fàuce m’ha date ‘a spiche
‘a spiche m’ha date u rane
u rane m’ha date u sciore
u sciore m’ha date ‘a paste
‘a paste m’ha date ‘a panétte
‘a so’ ddate a Mmechèle Barbétte
che mm’ha rrennute a céncele e ‘a scazzétte.
LA QUERCIA. La quercia mi ha dato la ghianda / la ghianda l’ho data al porco / il porco mi ha dato la sugna / la sugna l’ho data al fabbro / il fabbro l’ha data al mantice / il mantice l’ha data al fuoco / il fuoco mi ha dato la falce / la falce mi ha dato la spiga / la spiga mi ha dato il grano / il grano mi ha dato il fiore (di farina) / il fiore mi ha dato la pasta / la pasta mi ha dato la panetta / l’ho data a Michele Barbetta / che mi ha reso il cencio e la scazzetta (copricapo cilindrico di velluto, schiacciato e pendente su un orecchio).
(Filastrocca popolare torese)
Caro Paesanino,
ero convinto di aver pubblicato questa bella filastrocca nel mio libro La tavola di Toro (Cb, 1994), dedicato al dialetto del nostro paese. Invece no. Sono contento che hai provveduto tu.
Mi piacerebbe che i tuoi amici blogger annotassero qui filastrocche dei loro paesi, con un forum come quello sulla nostalgia.
Compliementi e cari saluti.
Giovanni
Dalle mie parti (basso molise), trascrivo una canzoncina, che mi è rivenuta in mente dopo aver letto “la quercia”. DIce così:
Io saccio na canzona alla diversa
alla diversa la voglio cantà.
L’albero de sorba è diventata cerquele
ce saglio ncoppa e coglie li cirasce.
Z’affacce la mia bella alla finestra:
chi è quisse che se coglie le cucocce?
Piglio na preta e me la meno mpiette
lu sanche ze ne scive a li ginocchia.
M’auzo la matina a ora di vespro
piglio la faucetta e vaglie a sumentà.
Tanti saluti
Mario
per fortuna c’è la traduzione;-)
ma da dove prendi queste belle immagini? sarei curiosa se potessi inserire il titolo dell’opera e dove si trova…( chiedo troppo..lo so:-))
un sorriso
veradafne
Cara Vera,
le immagini non derivano da un’opera. Sono miniature medievali di svariatissima provenienza. Le prendo, anzi le pesco con tanto tempo, tanta pazienza e altrettanta fatica nel grande mare Internet.
Come vedi non chiedevi troppo. Magari ci fosse un’opera che risponde magicamente ai nostri bisogni!!!
Ciao
Carissimi,
mia nonna (buonanima) che veniva da un paesino abruzzese in provincia di Chieti, tra le tante canzoncine e favole che mi contava da bambino, me ne diceva una che parlava di un uomo che salì sul sambuco ed era quercia; di un seminatore di finocchio per infinocchiare le donne; di un cieco, uno zoppo, un sordo e un gobbo in compagnia che affermavano di fare cosa per loro impossibile: cieco-vedere etc. Così il manomozzo coglieva frutta, metteva in petto al nudo, il muto pregava etc.
Me ne ricordo benissimo il contenuto ma non i versi precisi. Peccato.
Luca
Colgo al volo la proposta di GMascia e noto che nei miei ricordi c’è qualcosa di molto simile a quello che ha pubblicato GentileMa nel suo intervento. L’idea del forumi mi piace e ringrazio sia paesanino che ci ospita sia GMAscia che ha rilanciato l’idea.
L’inizio è pressocchè lo stesso:
Sacciu ‘na canzunceddra ar diritta
A ra rimmersa la vuohhiu cantari
Nella versione che ricordo io c’è qualche variazione sul tema:
Nu hiuernu di duminica matina
Cu ru faciuni hietti a siminari
Vitti na cerza carrica di mila
Mi hiunnu e minni fazzu tri vahiani
Mi vitti lu patruni di li pira:
“Ohi latru ca m’arruobbi ssi cirasi!”
e mi sparau ‘na petra a ru garruni.
Guarda lu sangu chi m’escia du nasu!
E nun c’abbastanu né pezze e ne strazzi
P’attagnà ‘u sangu chi m’escia di li vrazzi!
Traduzione letterale
Un giorno di domenica mattina
Con la falce andai a seminare (il non sense è che di domenica non si andava a lavorare)
Vidi una quercia carica di mele
M’avvento e me ne faccio (raccolgo) tre peperoncini.
Mi vide il padrone delle pere:
“Oh ladro che mi rubi le ciliegie!”
e mi scagliò una pietra nel tallone.
Guarda il sangue che esce dal mio naso!
E non bastano né bende e né stracci
Per fermare il sangue che mi esce dalle braccia
Si tratta, probabilmente, del frammento di una canzone molto più lunga. Ma la versione intera non la ricordo, sono passati più di quarantacinque anni dall’ultima volta che l’ho sentita cantare. Il dialetto è il calabrese dei paesi delle montagne Paolane (Cosenza) ed è molto più duro di quello silano e cosentino. In particolarel la lettera H si legge poggiando la lingua sul palato e soffiando, in modo da provocare un suono simile a ga go gu ghe ghi.
Ciao a tutti e, alla prossima!
Ben
Caro Ben,
grazie del tuo notevolissimo intervento. La lettera “H”, qui in Molise, ha lo stesso suono in molti comuni della regione. Quasi sempre in funzione di “F” come nel caso di “hiume”, fiume o anche di “S” o “Sc” (scena) come nell’esmpio tipico di “hiuhhiature”, ovvero “soffiaturo”, che sarebbe il soffietto per il fuoco.
Nel mio paese, a Toro ho registrato e pubblicato un brandello della tua canzone. Al momento non ce l’ho sotto mano, ma conto di annotarlo, prima possibile.
Di nuovo, grazie a te, e anche da parte mia saluti a tutti.
Giovanni
Ecco il frammento torese, promesso.
Iève timpe de uve e ze metéve,
vénne la patróna de li cerasce:
– chi ze li fusse cute li castagna mèie?
Sallive ‘n coppe all’ulme e ivene pére:
lu manemuzze li cugliéve,
lu mananute ‘n zine ze li mettéve,
lu cecate facéve la spie,
lu surde li sentjve li remure.
In italiano:
Era tempo d’uva e si mieteva
venne la padrona delle ciliege:
– Chi se l’è colte, le castagne mie?
Salii sull’olmo ed eran pere:
il moncherino le coglieva
il nudo in grembo se le metteva
il cieco faceva la spia
il sordo sentiva i rumori.
Alla prossima
Giovanni
Grazie per le generose parole che mi hai rivolto, ma non sono un’esperta, sono una “praticante”, sto a bottega da un luminare, sperando di apprendere i segreti del mestiere…le filastrocche…mi ricordo che erano usate, nelle nostre campagne, a mò di scioglilingua per i bimbi, per insegnar loro a parlare e a tener a mente le cose, una sorta di allenamento per la memoria…altre, pregne di una religiosità al limite del paganesimo, erano usate dalle nostre donne in vece dei moderni contaminuti per cucinare…ricordo mia nonna che infilava un braccio nel forno, a legna,e sciorinando una di queste filastrocche, capiva quando il forno era pronto per il pane o per i dolci…se resisteva sino a metà, il pane…sino alla fine, pronto per i dolci…l’uso indiscriminato dei forni elettrici con il termostato ci ha portato via una fetta importante del nostro passato culturale!….a presto
Spassosissimo…
mi avete fatto venir voglia di leggere qualche volumetto di poesie dialettali della mia città che giacciono da anni, impolverandosi, nella mia libreria.
A presto.
Un grazie agli amici, che hanno nobilitato con i loro contributi la mia umile filastrocca popolare, nell’attesa che Hyeronimus ci faccia partecipi di qualche perla rinvenuta nei suoi polverosi volumetti.
Buona giornata
Per Gliorti:
Dio, che visione riduttiva, ma sempre di grande suggestione, che hai delle filastrocche popolari!
Filastrocche come termostati è la prima volta che sento qualcosa di simile. Voglio augurarmi che il braccio di tua nonna e quello delle altre donne non ne abbiano troppo risentito.
Buondì
Luca
Prima di essere sottoposta a qualche altro insidioso esame, ti lascio una figurina in tema di querce. Qui dalle mie parti sono rare e preziose, ma un tempo erano diffusissime (per loro parla la tradizione del maiale, cresciuto, pasciuto e spolpato all’ombra della vallonea). E proprio ad una gigantesca e antichissima vallonea si riferisce l’immagine che ti lascio: è conosciuta come quercia dei Cento Cavalieri e si trova nella zona di Tricase, in Salento. Riverisco e mi assento un attimo… ciao.
Grazie Biblios.
Di queste dimensioni ce n’era qualcuna dalle nostre parti, masseria Serpone in contrada Selva. Ma credo sia stata tagliata…
Ciao ciao