Rasce Barlette

Rasce Barlétte iève n’ome grusse, nu giagante. "Tè i spalle cumme a Rasce Barlette!", ze dice ancóre a Ture. N’ze saziave maie. Ze magnave duie panille de pane e ttenéve ancore fame.
Nu iurne i bbregante ze mettirne ‘n camine p’assalì u paése.
– Se me facéte magnà ‘na fernate de pane, ve salve i’ – decette Rasce ch’i paiesane.
Facirne u pare e spare.
– Tante se n’zu magne isse, zu magnene i bbregante…
 I bbregante ivene arrevate a Rreviate, ‘a paure crescéve e… Rasce magnave.
– So rrevate na curve de Campedeprete!
Rasce menave ‘mmocche.
– Stanne na Curtenelle…
E ntramente tutte z’annascunnivene, Rasce ze avezatte. Arrescette annanze i bbregante, c’arrevavene chi scimitarre adda fore. E cumenzatte a chiagne. Chiù avete isse di bbregante a cavalle. E chiagnéve. U pitte strameserate scesciave cumme a ‘nu mantece. Chiagnéve e scesciave. Finacché u cape di bbregante z’avetta decide a ddumandà pecché chiagnéve.
– Chiagne, – respennette Rasce – pecché quisti ggnte mè so’ ccattive. Sule pecché lore so’ russe e i’ so’ ppeccerille, me mittene sempre apprette e mme fischiene apprisse.
I bbregante ze tamentarne ‘nbacce. Se quille iève u peccerille, e i ccuppave a ttutta quante a llore a cavalle, iecche avivena iesse l’atre!
Senza dice niente, z’aggerarne e ze ne irne, ntramente che Rasce Barlétte facéve a bbedé ca chiagnéve ancore.

RASCIO BARLETTA. Rascio Barletta era un omone grande e grosso. Un gigante. "Ha le spalle come Rascio Barletta!", si dice ancora a Toro. Rascio non era mai sazio. Divorava due enormi pagnotte di pane e aveva ancora fame.
Un giorno i briganti si misero in viaggio per assalire il paese.
– Se mi preparate una infornata di pane – propose Rascio ai compaesani  – ci penso io a salvarvi.
Quelli considerarono bene la faccenda:
– Tanto se non lo mangia lui, se lo mangiano i briganti…
I briganti erano annunciati a Ruviato. La paura cresceva. E Rascio mangiava.
– Sono arrivati alla curva di Campodipietra!
Rascio buttava tutto in bocca.
– Eccoli alla Cortinella!
E, mentre tutti pensavano a nascondersi, Rascio finalmente si alzò. Uscì incontro ai briganti che arrivavano con le scimitarre sguainate. E cominciò a piangere. Era più alto lui dei briganti a cavallo. E piangeva. Il petto smisurato soffiava come un mantice. Piangeva e soffiava. Finché il capo dei briganti non si decise a chiedergli perché piangesse.
– Piango, – rispose Rascio – perché i miei compaesani sono cattivi. Solo perché loro sono grossi e io piccolino, mi prendono sempre in giro e mi fischiano dietro.
I briganti si guardarono l’un l’altro. Se quello era il piccolino (e li guardava dall’alto in basso, nonostante fossero a cavallo), figuriamoci cosa dovevano essere gli altri!
In silenzio, fecero dietro front e se ne andarono, mentre Rascio Barletta faceva ancora finta di piangere.

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12 commenti su “Rasce Barlette

  1. anonimo il said:

    LA COSTRUZIONE DELLA SCUOLA

    Dopo tanti anni, la vecchia scuola sita nel municipio dovette essere chiusa. C’erano vistose crepe dappertutto. Fu così che un anno scolastico lo trascorremmo, almeno fino a novembre, per le campagne di Toro. Ogni scolaresca si prendeva un proprio spazio: la signora Antonietta prediligeva l’area sottostante la vecchia quercia, il maestro Paoletti immancabilmente vicino alla quercia di costei. Le querce non si cercavano ma i loro abitatori si, sempre. La maestra Giovanna amava appartarsi lontano, fino al casino dei Magno. Studiare all’aperto era molto bello ma ci si distraeva facilmente. Passavano i contadini e volevano salutare i propri figli o nipoti. Qualche volta ci donavano anche delle noci da mangiare.

    Fu questa particolare situazione ad accelerare la costruzione della nuova scuola, fuori dal paese, lassù vicino al convento. Fatte le fondazioni, la costruzione della scuola fu inspiegabilmente bloccata. Passarono mesi e quelle fondazioni si riempirono d’acqua. Non ci sembrava vero che potessimo avere delle piscine vicino casa e quelle pozzanghere divennero la nostra attrazione maggiore. Certo, non era acqua corrente e pulita, perché stagnante, quindi anche maleodorante: ma a noi piccoli la cosa non interessava, a noi faceva comodo sguazzare nell’acqua.

    Avvenne un giorno che al figlio del fornaio furono sottratti tutti i suoi poveri abiti, mutande comprese, mentre felice era intento a nuotare. Rimase nell’acqua fino a sera e non voleva uscirne perché si vergognava delle sue nudità. Intanto accorsero anche tante bimbe che inevitabilmente lo prendevano in giro. Cominciava a far freddo ma lui non voleva saperne di tornare a casa. Saputa la situazione del nipote, la zia impaurita che il nipote potesse ammalarsi in quelle condizioni, si precipitò presso la costruenda scuola. Fu salutata dalle urla divertite dei ragazzi ormai sempre più numerosi ad assistere alla scena. Ma il ragazzo non ne voleva sapere affatto di uscire nudo da quel pantano. Fu allora che la zia, presa una carriola dal vicino cantiere se lo caricò sul mezzo e trionfalmente si avviò verso il paese. Lei con la carriola davanti, il nipote nudo sul mezzo e uno stuolo di ragazzi divertiti che seguivano processionalmente il curioso corteo. Inutile dire che la processione pietosa al ragazzo non faceva piacere e non faceva piacere mostrarsi, ora da dietro, ora davanti, ignudo, sulla fredda carriola. Solo del fango lo rivestiva, a tratti, ma non bastava a coprirgli le vergogne. La zia, esausta dopo il lungo e trionfale percorso, lo scaricò , letteralmente, sul ballatoio e qui con una potente pompa fu irrorato e pulito dai getti d’acqua. Da quel giorno, il figlio del fornaio, non avvertì più alcun pudore per sue nudità, ormai queste erano note a tutti in paese.

    il figlio del fornaio

  2. anonimo il said:

    Buongiorno! Si potrebbe dire che mi arroghi il diritto di reclamare se si invade uno spazio (SCUSA PAESANINO SE MI SONO PERMESSA), ma volevo chiedere al “Figlio del fornaio” perchè non pubblica le sue storie su toroweb piuttosto che sul sito del Paesanino.Credo possa far piacere ai toresi leggere i suoi scritti. CIAO, Abigail

  3. Paesanino il said:

    Abigail, tranquilla che non invadi niente. E ti assicuro che a me le storie in questione piacciono. Altroché. Naturalmente, il figlio del fornaio è libero di scriverne quando e come vuole.

    Cari saluti

  4. GentileMa il said:

    Sono molisano anch’io. Di Rascio Barletta ne ho sentito parlare, ma di questa storia no, la trovo originale.

    Forza Toro

  5. anonimo il said:

    Troppo forti tutte queste storie! Soprattutto questa di Rascio. Io sento dire sempre mio padre “Hai due spalle come Rascio Barletta” (in dialetto) ma non capivo mai il significato!!!!

    Mi raccomando continua così!!!!!

  6. anonimo il said:

    Caro Paesanino,

    sulla favola di Rascio Barletta, da te così brillantemente raccontata, sentii tempo addietro proprio un mio corrispondente di Barletta, al quale chiesi conto di questo personaggio. Se può interessare, vedrò di rintracciare il carteggio, e lo trascrivo.

    Complimenti vivissimi

    Giovanni M.

  7. Paesanino il said:

    Giovanni, puoi trascrivere tutto quello che credi. Tu e gli altri. ve ne sono grato.

    Meglio ancora, se come dici, il commento aggiunge notizie al post.

    Grazie e saluti

  8. Paesanino il said:

    Grazie Giancarlo, ma non è la “mia” storia. Questa storia mi è stata raccontata da vecchi toresi. E’ una storia dei toresi.

    Saluti

  9. GiMascia il said:

    Caro Paesanino,

    proprio nei giorni in cui registravo a Toro il racconto popolare (estate 1999, informatore: Antonio Di Gironimo), ne rinvenivo echi, o almeno a me apparivano tali, in due liriche in concorso al Premio Rotello 1999, che mi aveva visto membro della giuria. Nella prima “E quello se ne andava coi giganti”, nei versi:

    Sai, io gli amici li ho lasciati al corso.

    E quello se ne andava coi giganti

    Che vinsero a Barletta, e aveva sete.

    Nella seconda “Lascia che canti il fiume dei misteri”, nei versi conclusivi:

    Poi nell’orchestra dei giganti oppressi

    Al ritmo ossesso di un concerto strano

    Singhiozzerà danzando il tuo ricordo.

    Erano liriche dettate da Domenico Luiso, vincitore del premio in parola, poeta e chitarrista prima che medico a Bitonto, al quale naturalmente mi sono rivolto per avere lumi sull’uomo gigantesco, Rascio, che aveva messo in rotta i briganti con l’arma fatale delle lacrime, ipotizzando nei “giganti di Barletta”, da lui evocati, gli eroi della celebre “disfida”, trasfigurati dall’immaginario popolare. La stessa fonte torese Antonio Di Gironimo, per esempio, a proposito del Fieramosca, gli accreditava l’impresa di aver scavalcato il promontorio del Gargano con un solo salto del suo cavallo. Evidentemente i forti, secolari legami tra Molise e Puglia continuano a stringere, nonostante sia trascorsa da un pezzo la stagione, che sembrava eterna e immutabile, dello annuale sciamare dei mietitori molisani verso le sconfinate distese del Tavoliere, e fino a qualche decennio fa dei potaulivi di Capurso, per non parlare delle famiglie pugliesi che vennero a ripopolare Toro, distrutta dalla peste del 1656 …

    […]

    Domenico Luiso, dunque, con lettera del 26 agosto (vedi il caso, spedita proprio il giorno del nostro patrono San Mercurio Martire), ha confermato senz’altro che con “i giganti che vinsero a Barletta” aveva inteso “richiamare un Fieramosca svestito dei suoi panni reali e bardato, invece, con quelli di un immaginario collettivo” al quale si sente “naturalmente e fortemente associato”. “La leggenda di Toro” – ha spiegato – la conoscevo a grandi linee. Anche da noi si parlava (ora non più, ahimè!) di un gigante che ecc. ecc. Non saprei dire se ci si riferisse a Fieramosca o a qualche altro personaggio. E certo, nelle mie poesie anche Fieramosca – sublimato nel cosiddetto immaginario – è uno degli dèi nei quali credo” o, se si vuole, “un punto di riferimento, un’aspirazione, un anelito verso forme di ‘generoso altruismo’”.

    Caro Paesanino,

    questo ti dovevo e dovevo ai toresi.

    Tante belle cose e grazie per quello che stai facendo in Internet.

    Giovanni Mascia

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