L'ultimo volo dell'angelo

Recitava una breve preghiera per implorare protezione per l'intera comunità

Nel giorno del santo patrono, a San Mercurio, durante la processione, un bambino con la veste e le ali degli angeli veniva sospeso con una lunga fune tra il balcone di Palazzo Magno e il torrione del campanile. Tra la commozione della gente, recitava una breve preghiera per implorare protezione per l’intera comunità.

Nel 1928 avvenne che l’angelo, vivace e poco ubbidiente, spiccò il volo con troppa foga e andò a sbattere contro la base del campanile. Niente di grave: fu prontamente soccorso per le ferite riportate alla testa. Ma non essendosi pensato a un eventuale sostituto, la preghiera di benedizione andò a farsi benedire.

La comunità torese, che vide nell’incidente un presagio funesto, coniò un detto, poi divenuto proverbiale: "Se z’e sfasciate ‘a cocce l’angelille, feguràmece jècche ci ha da capetà a nu", (Se si è rotta la testa dell’angioletto, figuriamoci cosa deve capitare a noi!).

Dal canto suo il parroco, che non ne poteva più di quella che lui riteneva una sceneggiata, si limitò a proferire con sarcasmo un tipica frase augurale: "A mmeglie a mmeglie a uanne che vè" (Di meglio in meglio, l’anno prossimo!).

Fu quello l’ultimo anno che l’angelo spiccò il volo sul campanile di Toro.

(il figlio del fornaio)

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23 commenti su “L'ultimo volo dell'angelo

  1. Anchise1 il said:

    Vorrei informare che l’antico rituale del volo dell’angelo si tiene ancora nel Molise, a Vastogirardi, richiamando nel centro altomolisano frotte di turisti. Si racconta che un anno la fune si è spezzata ed il bambino è caduto, per fortuna senza subire danni seri.

    In alcuni paesi meridionali si assiste ad una variante, seguendo un antico rituale pagano, che simboleggia la lotta tra il bene e il male, un figurante vestito da diavolo, posto a terra, sfida in un duello verbale l’angelo in volo, per impedirgli di recitare la preghiera di benedizione, ma l’angelo lanciandogli candele e fiori sconfigge il diavolo, cioè il male, tra gli applausi della gente festante.

    Anche a Venezia si rievoca il volo dell’angelo, la popolare manifestazione ha visto quest’anno una protagonista d’eccezione, Carolina Marconi, la bellissima italo-venezuelana resa celebre dalla passata edizione del Grande Fratello, che ha messo le ali e si è lanciata coraggiosamente dalla cella campanaria del campanile di San Marco per rendere il tradizionale omaggio al Doge.

  2. GiMascia il said:

    Qualche giorno addietro, in calce al limerick sul colle San Mercurio, facevo mio l’invito di Musa Pensosa a contattare i più anziani e comunque chi ne sa più di noi. E lo segnalavo come fondamentale per la conoscenza storica e sociale della nostra comunità. Fondamentale per non lasciar perire un patrimonio ingente di conoscenze, destinate altrimenti all’irreversibile oblio.

    Un buon esempio, lo ritrovo in questo grazioso quadretto del Figlio del fornaio. Quanti toresi erano a conoscenza dell’usanza del volo dell’angelo in paese, a San Mercurio? Immagino pochissimi o nessuno. Grazie perciò a chi, come il Figlio del fornaio, si è preoccupato di interrogare qualche anziano informatore e mettere a disposizione di noi tutti il suo divertente resoconto.

    Saluti

    Giovanni

  3. musapensosa il said:

    Non avevo mai sentito parlare, prima d’ora, dell’antico e toccante rituale del volo dell’angelo a Toro.

    Faccio dunque i miei complimenti al Figlio del fornaio che, come sempre, regalandoci una notizia di notevole interesse, ha aggiunto un nuovo, importante tassello alla conoscenza storica e sociale della nostra comunità.

    Belle cose al Figlio del fornaio, al Paesanino e a tutti gli amici del blog.

  4. figliodifornaio il said:

    Saluto e ringrazio gli Amici per gli apprezzamenti.

    Voglio precisare che il racconto del volo dell’angelo l’ho attinto dal compianto, carissimo Zio Nicolino Miozzi, quindi, il consiglio di Musa Pensosa e di Giovanni Mascia di attingere presso i nostri anziani tutte le notizie utili per arricchire la memoria storica della nostra Comunità, è fondamentale.

    Zio Nicolino, qualche anno fa, mi ha condotto nel bosco per prelevare direttamente delle mazze particolari con le quali ha ri-costruito delle sedie ampie e comode che un tempo si usavano nei salotti. Ha riprodotto dei giochi particolari che si usavano in passato e tutti i tipi di tric-trac , raganelle e simili.E’ stato mesi a tentare di ricostruire il vecchio trapano a mano, azionato con lo spago. Me ne ha riprodotto ben tre.

    Oggetti cari, che conservo come reliquie nel Museo.

    Purtroppo la nostra amicizia e il nostro sodalizio è nato quando egli era già molto anziano.

    E’ stato un amico grande e maestro di vita che ricordo con piacere.

  5. PortamiVia il said:

    Meno male che si è avuta l’elasticità mentale di non rischiare la vita di qualche altro angioletto!! Spesso le superstizioni hanno la meglio sulla fede.

    Grazie per questa storia di uno spaccato tipicamente italiano, adoro questi racconti.

    Un saluto,

    Anna 🙂

  6. Paesanino il said:

    In mancanza di una foto specifica del volo dell’angelo torese, pubblico una foto di un’affollata processione di San Mercurio. Siamo a inizio Novecento, in piazza del Piano, e la foto è stata scattata dal torrione del Campanile. Addossata al balcone di Palazzo Magno c’è una lunga scala, probabilmente serviva per il volo dell’angelo. Dal balcone , infatti, si diparte una fune tesa, probabilmente quella che sarà usata usata per il volo dell’angelo…

    Saluti

    Processione di SAn Mercurio a Toro, inizio Novecento

  7. anonimo il said:

    Buongiorno a tutti! volevo solo mandare un saluto e una buona domenica al Paesanino e a tutti gli ospiti :)))) Ci leggiamo presto!!! Abigail

  8. musapensosa il said:

    – Se nn’a fenjsce, te facce fa’ u vúle dell’angele!: è questo un modo di dire ricorrente nel dialetto torese: mi sono io stessa sorpresa a sentirmi pronunciare questa frase, rivolta a mia figlia in tono piuttosto minaccioso e sono convinta che ci possa essere una stretta relazione tra il detto e il rito in questione.

    Che ne pensate voi, siete d’accordo con me?

    Buona settimana a tutti

  9. anonimo il said:

    si musapensosa!penso davvero che ci sia una relazione! quante cose si imparano ogni giorno!Abigail p. credo dovrò rifare l’iscrizione a splinder perchè non riesco più a connettermi..

  10. figliodifornaio il said:

    Cara Musapensosa, penso anch’io come Abigail, che la tua sia osservazione pertinente nel trovare un nesso con il minaccioso rimprovero fatto a tua figlia, in merito a ciò che è riportato nel racconto.

    L’ultima parola dovrebbe potercela fornire l’amico G. Mascia.

    Saluti cari .

  11. GiMascia il said:

    Raccolgo volentieri l’invito del figlio del fornaio e ringrazio.

    Ringrazio in particolare Musa Pensosa per il notevole apporto della sua riflessione. Le lingue e i dialetti che scompaiono sono un bel guaio. Quando scompaiono le parole, insieme a loro scompaiono anche le cose e i fatti che quelle parole identificavano e che spesso erano tipiche di Toro o degli antichi tempi. Il volo dell’angelo a Toro non è più in uso da ottant’anni. E’ sparito. E se non era per il figlio del fornaio, forse nessuno ne avrebbe mai saputo niente. Ma resistono le parole e i modi di dire. Sono i reperti archeologici del lessico. Fin quando ci sono le parole e i modi di dire, le cose che identificavano o evocavano non sono scomparse del tutto.

    La minaccia ricordata da Musa Pensosa, più che al volo dell’angelo in genere sembra proprio fare riferimento al drammatico incidente, all’angelo che finì per sbattere contro la base del campanile. E anche in mancanza del preciso resoconto di Nicolino Miozzi, l’informatore del figlio del fornaio, restava sempre in piedi la probabilità che qualcuno lo richiamasse alla memoria sulla scorta della imprecazione.

    Bene, al volo dell’angelo rimanda sicuramente anche un altro modo di dire, che ho avuto modo di rinvenire a Toro e inventariare per il professor Gianluigi Beccaria e che a suo tempo ho pubblicato. Cale l’ancele, Scende l’angelo, si usa per suggellare il silenzio che regna quando i commensali affamati sono tutti indaffarati a fare onore alla tavola. L’angelo lascia la tavola e vola via per tornare in cielo, solo quando qualcuno di loro apre bocca, rompendo il silenzio.

    Ecco, a suo tempo ignoravo l’aggancio con il volo dell’angelo e il silenzio collegato all’angelo “calato” restava misterioso e senza spiegazione. Adesso che siamo al corrente del rituale torese, mi sembra preciso l’aggancio. Il silenzio della tavola è lo stesso della popolazione in processione che faceva silenzio quando l’angelo “calava” dal balcone e rimaneva sospeso di fronte alla statua del santo. Tutti allora diventavano muti con gli occhi all’insù per ascoltarne la preghiera e gli auspici.

    Grazie Paesanino e grazie amici tutti per queste belle opportunità di cononscenza.

    Giovanni

  12. figliodifornaio il said:

    Come auspicato , l’ultima parola di Giovanni Mascia, oltre ad essere esaustiva in merito ai vari agganci sui vari detti toresi riferiti al racconto, ci apre alla speranza che altri futuri racconti possano aprire scrigni preziosi per donarci utili reperti archeologici del lessico torese, altrimenti destinati all’oblio. E la preziosità del Blog consiste proprio nello sforzo comune di apportare ognuno un piccolo tassello per ricostruire il mosaico variegato della nostra cultura locale.

    Grazie Giovanni!

  13. anonimo il said:

    ingegnose queste invenzioni volanti!

    e a quali accorgimenti della cultura contadina si rifacevano? il saper tendere le funi derivava da…

    un sorriso

    veradafne

  14. anonimo il said:

    Bravi tutti, ……io intanto ne approfitto per imparare.

    Grazie e saluti

    Giuseppe Parziale

  15. Anchise1 il said:

    In questo racconto si parla del torrione e del campanile. Mi piacerebbe rievocare ciò che rappresentavano una volta, per noi, questi due posti particolari il cui accesso era consentito solo dall’entrata della chiesa.

    Il campanile era conteso da ragazzi e adulti per cimentarsi nella sfida (atletica) di chi avrebbe fatto suonare la campana grande più a lungo e portarla nella posizione più estrema della corsa. Una volta chiusa la botola di ferro, posta alla base della cella campanaria, ci si faceva facilmente prendere dall’euforia e difficilmente si cedeva la corda della campana grande ad altri concorrenti. Per noi ragazzi era tentazione irresistibile arrampicarci attraverso il tubo di ferro fino alla sommità del campanile, dal quale pareva scorgere tutto il mondo. Immediatamente sotto la cella campanaria si udivano i forti rintocchi metallici del grande orologio, con le catene dei pesi penzoloni lungo la sconnessa gradinata del campanile.

    Quel suono acuto eppur gentile della campana grande, che emetteva centinaia di decibel, unitamente a quello della media più dolce e squillante, inframmezzato dalla “rimanella” della piccola, fatte suonare tutte e tre con un ritmo che intervallava i rispettivi rintocchi, davano un concerto unico al mondo, che era il ricordo più struggente e nostalgico degli emigrati toresi.

    D’altra parte le campane hanno segnato i momenti più solenni della vita di ogni paesano: matrimoni, funerali, ecc. In passato si usavano anche per avvertire e magari allontanare i temuti temporali.

    Era un privilegio , un lusso, un onore riservato solo ai migliori. Tali privilegi venivano riservati ai più capaci ma anche ai migliori bevitori, perché durante le feste solenni i comitati dei festeggiamenti mettevano a loro disposizione qualche cassa di birra. Solo per il sacrestano, usandole nella quotidianità e nei vari momenti della giornata, era impegno gravoso. Ne ricordo uno che durante lo scampanio delle “ventunora” con una mano era intento a suonare la campana e nell’altra si fumava la sua solita sigaretta.

    Il torrione è stato per anni il “cesso” degli apostoli ma anche l’angolo privilegiato dove si fumava e chiacchierava. Il parroco, da lì sbirciava e controllava gli spettacoli delle feste, non sempre decorosi, diceva, che si tenevano nella sottostante piazza.

    Da alcuni anni, il silenzio delle nostre campane simboleggia la desolazione del paese.

  16. Anchise1 il said:

    e.c.

    Era un privilegio , un lusso, un onore riservato solo ai migliori. poterle suonare ….

  17. Anchise1 il said:

    Fino agli anni settanta era possibile ammirare sul torrione un grande albero di mandorlo. Aveva il gradito compito di annunciare con i bei fiori bianchi tendenti al rosa, già da gennaio -febbraio, l’ arrivo prossimo della primavera.

    Ai primi tepori primaverili il torrione si riempiva di centinaia di rondini che spiccavano il volo, insieme ai piccioni, lungo il campanile.

    Quel mandolro, durante il Natale veniva addobbato con lampade variopinte, divenendo, al posto del classico pino, il nostro albero di Natale.

    Fra le grosse pietre del torrione, in passato crescevano, in mezzo a tanta erba, tanti bei fiori rosa di “bocca di leone” e quelli gialli, da noi ragazzi chiamati, “girasolini”.

    p.s. Sarebbe possibile pitturare con colore chiaro, come le pietre, le brutte borchie nere, poste a fissare le seppur utili catene, per i danni causati dal sisma al campanile ?

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