La benedizione delle case

Seppur molto pio, eccedeva smisuratamente nei peccati di gola


Appena giunto in convento, il nuovo padre guardiano si diresse in cucina. E dove poteva recarsi uno così grasso, se non in cucina? Era alto appena un metro e mezzo, il suo quintale di peso si accumulava tutto nella pancia. Da lontano sembrava un pallone marrone legato a un cordone bianco. Una volta entrati in confidenza, ci permise di pranzare insieme con lui, nell’invitante cucina dei monaci, e avemmo la riprova che, seppur molto pio, eccedeva smisuratamente nei peccati di gola. Divorava di tutto, con sano appetito, soprattutto salami, che accompagnava con mezzi panelli di pane e vino dei devoti, il migliore, quello destinato all’altare.

Essendo io, il suo chierichetto preferito, non potevo esimermi dall’accompagnarlo, in tempo di Pasqua, a benedire le case. Reggendo con una mano il canestro per le uova che la gente ci donava, e con l’altra il secchio d’argento dell’acqua benedetta, mi univo alle sue preghiere, cantilenando un latino approssimativo, distratto dalle suppellettili domestiche, dalle foto e dai quadri alle pareti.

Era tacito patto che il parroco benedicesse tutto il paese, tranne la via del convento, che toccava ai monaci, con tutte le case della campagna. Lungo la via del convento il padre guardiano si limitava ad assaggiare un buccellato o un fiadone e a bere un bicchierino. I guai iniziavano quando percorrevamo i viottoli di campagna. Già ai primi passi esclamava, madido di sudore: – Che fame, Tonì! … che fame…non ce la faccio più.

Penso che davvero l’aria fresca di campagna e lo sforzo di percorrerla in lungo e in largo gli provocassero una fame da lupo. Nei pressi della masseria dei D’Amico, dopo che avevamo benedetto già una decina di case, il padre guardiano, esausto, minacciò: – Tonì, qua ci fermiamo. Ieri sera, dopo la messa, Cristina mi ha detto che oggi ci avrebbe fatto trovare taccozze e fagioli.

Taccozze e fagioli rappresentavano per il sant’uomo il paradiso in terra e gli si inumidivano gli occhi e immagino anche la bocca già solo a nominarli. Ne mangiò a crepapelle. A tavola si era creato un clima di cordialità e allegria che cresceva con i bicchieri di vino rosso. In programma, c’era da benedire ancora qualche masseria del Parco e della Difensa ed infine tutto il Casino dei Magno, ma non fu possibile proseguire. Il padre guardiano si era ubriacato, senza che io capissi che tutta la sua euforia non era dovuta alle battute di zi’ Antonio, ma solamente al vino.

Con premura e prudenza, per non dare scandalo, aspettammo l’imbrunire, quando zi’ Antonio, non senza sforzi sovraumani, issò il monaco sul suo asino, legandolo saldamente al basto. Per evitargli il rischio di una rovinosa caduta, sistemò ai fianchi della vettura le segge, che servivano per il trasporto dei covoni di grano. Era già notte, la sua sagoma scura ondeggiava pericolosamente, sempre sul punto di rotolare di qua o di là, come una balla di fieno, ma riuscimmo a riportarlo in gran segreto in convento.

(il figlio del fornaio)

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18 commenti su “La benedizione delle case

  1. GentileMa il said:

    peccato sia arrivato in ritardo per l’indovinello, forse l’avrei saputo risolvere, forse mi illudo, dopo averne visto la soluzione.

    Comunque mi consolo con questo bel racconto. Esperienza d’altri tempi, che mi sembrano belli

  2. AbigailGilmore il said:

    Leggendo questo racconto, mi chiedo a volte a cosa serva IMPORRE dei limiti, se poi, (quasi) sempre questi vengono disattesi…anche da chi li dovrebbe promuovere! Noto, infatti, in alcuni uomini di chiesa delle pance esagerate, o dei vizi “celati”, forse per dar l’idea di una capacità di resistere che poi non c’è. Il privarsi (esageratamente) di una cosa ne rafforza il desiderio, a volte anche in maniera sproporzionata! E’ la giusta misura che spesso manca nei nostri comportamenti, ma l’equilibrio sembra essere raggiunto solo in età più avanzate :)Ciao a tutti! Abigail

  3. anonimo il said:

    Bei ricordi…

    mi torna in mente, oltre che la benedizione pasquale delle case, che anch’ora si fa, solo che alle uova abbiamo sostituito i soldi di carta…arriva il vecchio prete con il sacrestano che porta seco “il secchio d’argento con l’acqua benedetta”, e tutti a recitar preghiere, in volgare, non più in latino….ma non era questo il ricordo a cui alludevo.

    Anni fa, per l’ultima volta ho assistito ad una scena bellissima: arrivarono sulla mia aia un gruppo di giovani cantori, che accompagnandosi con chitarre e fisarmoniche, si trattannero per ben più di un’ora a cantare le “novene della passione”….

    imbandii di corsa un tavolo all’esterno, pane, prosciutto,salsicce sotto strutto, vino rosso ed a loro regalai le poche uova che avevo in casa, “per devozione”, anche se i ragazzi sapevano benissimo che provenivano da più vicino supermercato…

    Questo, quando noi eravamo giovani….

    Che tristezza vedere che nessuno segue le nostre orme!

  4. Anchise1 il said:

    “Taccozze” : (impasto di farina di grano duro): sfoglie sottili, di forma romboidale e grande quanto il polpastrello di una mano, vengono di solito condite con aglio, olio e peperoncino, con i fagioli sono deliziose.

    Fiadoni – Dolce pasquale di un tempo.

    Questo è uno dei più tipici dolci primaverili, diffuso in tutto il Molise, a testimonianza dell’ampiezza della tradizione pastorale della regione. In origine il ripieno era costituito da formaggio di mucca fresco di un paio di settimane; in primavera, infatti, c’era abbondanza di formaggio fresco e di uova. Oltre alla versione dolce del fiadone ne esiste anche una salata o rustica. Il nome deriva dal fatto che nel forno l’impasto di formaggio e uova cresce, si gonfia (più si gonfia e migliore è il risultato) e conseguentemente tende a sfiatare.

  5. Anchise1 il said:

    RICETTA PER PREPARARE IL FIADONE

    Ingredienti e dosi:

    per il ripieno 12 uova – 9 cucchiai di zucchero – 1 limone – 1.3 kg. di formaggio di mucca grattugiato

    Per la pasta 1 kg. farina – 5 uova – 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva – 50 g. burro – un pizzico di sale – 1 cucchiaio di. zucchero – 1 uovo per pennellare

    Preparazione:

    Per il ripieno battere le uova intere con lo zucchero e la buccia di limone grattugiato, aggiungere il formaggio (un po’ stagionato, di circa 15 giorni) e amalgamare. Preparare la pasta impastando su una spianatoia tutti gli ingredienti, stenderla con il matterello e ritagliare dei dischi grandi come un piattino da tè. Riempire a metà le sfoglie con il l’impasto di formaggio e chiuderle a forma di mezze lune. Chiudere bene i bordi e incidere la superficie con un taglio a croce per evitare che i fiadoni si aprano durante la cottura. Spennellare la superficie con l’uovo battuto e cuocerli in forno già caldo a 180° per 30 minuti circa.

    Buon appetito!

  6. bucciadimela il said:

    A parte il fatto che per l’atmosfera, l’ambientazione vivida e il tono narrativo sembra di vedere un film, la tua storia mi ricorda certi pretoni e fratoni della mia infanzia che non erano per nulla dissimili. A quei tempi mi pare ce ne fossero parecchi, e mia nonna – peraltro donna molto pia e rispettosa – li guardava con una malcelata indignazione, perché mi spiegava che, in tempi difficili di fame e di miseria, era una scappatoia per molti prendere l’abito pur senza alcuna vocazione e in quel modo assicurarsi una vita minimamente più sicura e privilegiata. Anche se il paese stringeva la cinghia, per il prete, considerato da sempre un’autorità e un tramite con il paradiso, salami e fiaschi di vino c’erano sempre.

  7. GiMascia il said:

    Mi complimento con il figlio del fornaio per la rievocazione di usanze che risalgono a pochi decenni fa e sembrano appartenere a tempi assai remoti. In particolare, ho trovato molto suggestiva l’immagine finale del racconto:

    “Era già notte, la sua sagoma scura ondeggiava pericolosamente, sempre sul punto di rotolare di qua o di là, come una balla di fieno…”.

    Una immagine che mi è tornata alla mente più volte durante la giornata. Poi ho scoperto il perché. Era modulata sul ritmo e sulle immagini di un passo famoso di un famoso racconto di Flaubert “Un cuore semplice”. Siamo alla rievocazione della serata di un amore giovanile della vecchia protagonista, Felicita:

    “Essa camminava sorretta dalla sua stretta; rallentarono il passo. Il vento era caldo, le stelle brillavano, l’enorme carrettata di fieno oscillava davanti a loro…”.

    Ecco, la magia di una notte primaverile ha accomunato in maniera del tutto casuale con parole e immagini simili epoche diverse, contesti diversi, mondi lontani.

    Saluti

    Giovanni

  8. vera.stazioncina il said:

    :-))

    complici di taccozze, fagioli e vinello:-)

    quanti bei ricordi ci presenta questo figlio del fornaio, grazie! e anche per la ricetta si ringrazia..

    un sorriso

    veradafne

  9. cicabu il said:

    Arrivata tardi per l’indovinello..che nn avrei cmq “indovinato”….molto carino e bravi i vincitori…^^

    Il figlio del fornaio non delude mai con i suoi deliziosi racconti ..una bella immagine di un passato non tanto remoto..^^

  10. artemidoro il said:

    Siate clementi con il frate mangione

    in fin dei conti è dei bambini

    provar per cose piccole entusiasmo e gioia

    e dei superbi intellettual per cose vere provar noia

    per qul che riguarda l”equilibrio” e i confini

    Faccio per Abigail in rima una citazione

    “I pater noster vegnu giust

    quand’el cul a l’è frust”

    (I padre nostri sono giusti

    quando i culi sono frusti”)

    lascio ad ognuno coglerne il profondo significato

    almeno a chi non si è ancora ubriacato

  11. figliodifornaio il said:

    Con questo mio “antico” ricordo d’infanzia, non ho voluto rimarcare i peccati di gola del caro e pio Padre Guardiano, ho voluto sorridere delle debolezze dell’uomo, con tanta nostalgia per quel tempo magico, quando un uomo era e continuava a essere un sacerdote.

    In questo modo, mi pare, che la passeggiata notturna con l’omone ubriaco a cavallo dell’asino non sia solo comica, è anche tenera.

    Nulla da paragonare al dramma (odierno) dei preti pedofili.

    Ringrazio tutti gli Amici con gli interessanti commenti e il Paesanino per l’ospitalità e la bella miniatura.

  12. anonimo il said:

    Sarebbe possibile vedere come erano fatte le “segge” del racconto ?

    Un torese curioso

  13. anonimo il said:

    Mi piace il ” Pallone marrone legato ad un cordone bianco “.

    Non ricordo quanto tempo è passato ma in occasione di una Pasqua di tanti anni fa i monaci del convento di Toro ci fecero fare gli apostoli. Eravamo felici, era un grande onore pe noi. Eravamo in competizione con i grandi che si vestivano in chiesa e facemmo le nostre veglie di preghiera con grande impegno, dentro enormi vestiti bianchi, con cappuccio bianco. Ci avevano promesso, che come i grandi, anche noi avremmo mangiato l’agnello pasquale la sera del Giovedì Santo. Aspettammo invano per tutta la sera, era notte quando qualcuno più coraggioso si recò in cucina per protestare ( avevamo tanta fame ). Trovammo i monaci che stavano ancora mangiando e ci dissero con tono di rimprovero che per noi non c’era niente. Nè agnello nè altro.Ci saremmo accontentati anche di un uovo fritto ma ci fu rifiutato anche quello, Ci sentimmo presi in giro, offesi ed umiliati, abbandonammo il Sepolcro ed andammo via urlando la nostra rabbia. Non mi ricordo se c’era il figlio del fornaio ma mi ricordo di Giovanni.

    Erano anche un pò egoisti i nostri monaci…..

    Saluti

    Peppe

  14. Paesanino il said:

    Caro torese curioso,

    le segge erano dei telai di legno che si aprivano a libretto e, legati da una parte e dall’altra della barda, servivano a portare covoni di grano, orzo, avena, paglia…

    Non avendo fotografie a disposizione, ho provato a farne uno schizzo:

    Giacché c’ero ho provato anche a immaginare la scena del trasporto del monaco ubriaco, nottetempo, sull’asino:

    Cordiali saluti

  15. AbigailGilmore il said:

    Paesanino, ma non finisci mai di stupire i tuoi ospiti!!!ora ci dai anche dimostrazione di talento nel disegno 🙂 Bravo!!!

  16. figliodifornaio il said:

    Caro Paesanino, avevo intuito che eri bravo a disegnare da precedenti prove, non immaginavo minimamente che ti saresti spinto a riprodurre fedelmente la scena notturna del monaco sotto le stelle. Complimenti!

    Quanto al divertente racconto di Peppe, di cui al # 14, mi è giunta eco di quella deludente cena pasquale, ma non sapevo che eravate tanto pii da optare per il digiuno assoluto.

    Saluti cari.

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