I fuochi a Sant'Antonio

Tornano i fuochi a sera sulle alture del Molise

Stelle o non stelle, lucciole o non lucciole, torna giugno. Tornano i fuochi a sera sulle alture del Molise: i fuochi a Sant’Antonio. Ma più radi che in passato. Sempre più radi.

In troppi luoghi non si è saputo resistere alle nuove sirene che, in nome di un malinteso senso del progresso, hanno relegato nell’ombra del dimenticato cerimonie e riti genuini, espressioni di cultura e storia plurisecolari, spacciandoli per ciarpame di cui bisogna liberarsi per essere al passo con i tempi. Neppure le Pro-Loco, impegnate spesso a ideare fasulle sagre paesane, sono riuscite a mantenerli o a richiamarli in vita.

In qualche sparuta realtà, a Oratino per esempio, ci si è mossi in direzione diversa. L’Amministrazione comunale e la Pro-Loco hanno inteso valorizzare il rituale antico della Faglia (enorme torcione di canne, alto una dozzina di metri per oltre uno di diametro, issato e posto a bruciare in piazza la notte di Natale) dapprima con il convegno dell’8 agosto 1987, che ha visto la partecipazione di studiosi italiani ed esteri, e quindi con la pubblicazione dell’aprile dell’anno dopo di alcuni contributi al citato convegno, tra i quali quello veramente notevole della prof. Viviana Paques, docente di Etnologia alla Sorbona di Parigi. L’iniziativa oratinese inquadra il rituale della Faglia e altri simili in tempi remotissimi quando l’uomo si poneva di fronte alla natura, intesa in senso animistico, in posizione di rispetto e di paura, con il solo bagaglio di pratiche e riti magici cui attribuiva capacità d’incidere su forze e fenomeni arcani. Lungo il corso dei secoli, questi rituali sono venuti a svuotarsi delle motivazioni originarie per assumerne altre (per lo più di carattere cattolico-devozionale) o per conservarne la forma esteriore e pochi relitti fonico-verbali (come il "Maruasce e maichentò" di Santa Croce di Magliano) cui non si è più in grado d’assegnare alcun significato. Di qui alle popolazioni il compito di non disperdere i riti e agli studiosi quello di decifrarli.

I fuochi dell'ultima sera hanno pretese di grandiosità

A Toro, si verifica un fenomeno interessante. Anziché lasciar morire la tradizione dei fuochi a Sant’Antonio, da qualche anno la si è portata a nuovi splendori. E questo per moto spontaneo dell’uomo della strada, senza mediazioni di alcun genere. Non con la valorizzazione "scientifica", tipo Oratino, ma con la più o meno inconscia rimozione del motivo devozionale, ormai fuori moda, che lascia il posto a spinte di natura edonistica. Senza formulare giudizi etici, va rilevato e preso atto che la cosa funziona. Grazie a una spinta giovane e vitale e, soprattutto, genuinamente popolare, si assiste così al pieno recupero di un’usanza, che si poteva credere in estinzione.

Accendere fuochi a Toro in onore di Sant’Antonio di Padova (in altri centri il Sant’Antonio dei fuochi è l’Abate, che si festeggia a gennaio) è usanza antica. E fuochi non solo il 13 giugno, la sera della festa del Santo, ma anche nelle precedenti sere del mese, per tutta la "tredicina". Tocca a frotte di ragazzi maschi incaricarsi della questua di sterpaglie tra le famiglie del vicinato e scorrazzare per le ripe di tufo a far razzie di ceppi di ginestre (retaggio di un’ancestrale iniziazione alla guerra, o almeno alla rapina?). A sera, arderanno una dozzina di falò, distribuiti per l’intero abitato. Soprattutto le donne, giovani, meno giovani e anziane, ne approfittano per stare un po’ insieme. Sedute attorno al fuoco (è giugno ma le sere sulle nostre colline sono ancora fresche), non biascicano più i rosari d’un tempo. Cicalecciano. Solo quando si scade in pettegolezzi, qualche anziana bigotta sente il dovere di richiamare le altre alla pretesa sacralità del momento. Ottiene il risultato opposto e il pettegolezzo dilaga. Al giorno d’oggi neppure i bambini cantano più le canzoncine a "sant’Antonio piccolino con la veste turchinella" un tempo ripetute fino all’ossessione:

     Sant’Antonio, giglio giocondo,
     è nominato per tutto il mondo,
     chi lo tiene per avvocato
     da Sant’Antonio sarà aiutato.

I fuochi della sera della festa, poi, hanno pretesa di grandiosità. Reverberi di fiamma, fumo e crepitio di ginestre ovunque. C’è grande animazione. Al di sopra del cumulo di sterpi, sospesa con filo di ferro, viene issata la "bamboletta". Non è che un fantoccio confezionato dalle ragazze con stracci, paglia e carta colorata, forse semplice emblema della "Tredicina", che brucia sotto l’incalzare della grande estate, ma la cui valenza iconografica, saltando l’interpolazione cristiana, potrebbe rimandare in qualche modo all’Axura, la festa che nel Moghreb celebra la canicola e il matrimonio della Terra (la bambola) e il Cielo (il fuoco), dal quale nacque il sole. Seducente, secondo Viviana Paques, sarebbe il parallelo tra la "bamboletta" e la "teslit" (la sposa) del rito moghrebino. Però, avverte la studiosa parigina, "non dovremmo contentarci di rilevare le somiglianze aneddotiche, dato che, troppo spesso, rituali che paiono presso a poco analoghi, ricoprono sostanze e simboli ben diversi". Comunque sia, le fiamme  che dapprima lambiranno la veste della bamboletta e poi l’abbrancheranno tra "oh" di meraviglia ingenua dei presenti, suggelleranno la fine della tredicina dei fuochi a sant’Antonio. Nel più o meno rapido divampare qualcuno leggerà presagi. Chissà…

Le fiamme  che l'abbrancheranno tra "oh" di meraviglia ingenua dei presenti suggelleranno la fine della tredicina dei fuochi

Certo l’aggancio religioso è sempre più labile. Lo si direbbe sparito con le stelle e le lucciole, inghiottito anch’esso dalla luce fosforescente dei lampioni. Relegato per sempre tra le spire dei ricordi e dei versi di Iacobacci:

     Un cestino di pane benedetto
     sul capo d’ogni ragazza
     e un giglio nella mano: un pane e un giglio.
     Cento fuochi sulla soglia di giugno
     biondo come il fanciullo
     della statua di Sant’Antonio;
     così gli anni cambiano
     soltanto negli occhi dei bimbi che nascono
     o nei nodi della mazza piegata sul fuoco
     in cerchio, quando la speranza è certezza di spighe.

Gli anni cambiano, invece. E non solo negli occhi dei bimbi. Ormai pochi cestini di pane ondeggiano solo su teste bianche di vecchie devote. La novità non ha punti di contatto con il giglio e con i pani del Santo e della carità. Ha preso piede l’uso di banchettare, dopo la grande fiammata dell’ultima sera. Emulazione, rivalità. Si vuole fare di più e meglio degli altri. Il menù, a base di cavatelli e salsiccia, ovviamente alla brace, prevede variazioni sul tema. Ognuno al posto suo, davanti al fuoco del vicinato di appartenenza, a mangiare, bere, fare festa. Solo a gruppi di giovanotti è permesso di fare la spola tra fuoco e fuoco per mettersi in mostra agli occhi delle ragazze, assaggiare le pietanze e stuzzicare le cuoche, denigrandone i piatti e vantando quelli preparati dalle cuoche del fuoco rivale.

(Giovanni Mascia)

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16 commenti su “I fuochi a Sant'Antonio

  1. Paesanino il said:

    Il mese di giugno è legato a una delle tradizioni toresi di maggior fascino, “I fuochi a Sant’Antonio”, già adombrata nella poesia “Sere di giugno”. Anche i post della prossima settimana verteranno su aspetti particolari della tradizione, con esperienze, racconti e suggestioni varie.

    Saluti

  2. GiMascia il said:

    Grazie, Paesanino, per aver pubblicato questo mio scritto, con una impaginazione impeccabile e le belle foto che, lo voglio ricordare, sono di Sandro Nazzario.

    Mi piacerebbe sapere se gli amici del blog – che saluto con simpatia – hanno tradizioni simili dalle loro parti.

    Grazie di nuovo e un caro saluto

    Giovanni

  3. Anchise1 il said:

    Complimenti Giovanni, sei sempre attento e puntuale nel fornirci elementi utili per comprendere il senso delle nostre tradizioni, come il fuoco di s.Antonio, ancora in auge nel nostro paese.

    Al di là delle possibili motivazioni che tendono a non “spegnere” questa bella tradizione (spirito di competizione- tavole imbandite intorno al falò, ecc.) è opportuno ricordare che nel contesto odierno, solo in tale circostanza ci si ritrova con i propri vicini a vivere momenti di gioia di agape fraterna.

  4. BibliotecadeBabel il said:

    Ritrovo qui la massima concentrazione delle nostre feste di fuoco, da gennaio in poi (fanove, fòcare et similia), commiste alle varie vecchie quaresimali, alle fracchie del venerdì santo garganico… Vorrei trovare immagini da postare qui. Mi sembra che tutto ruoti intorno alla chiusura “alla grande” del semestre di fuoco, del sole che cresce. In fondo – ricordiamocene – con il San Giovanni estivo (distante sei mesi da quello a ridosso del Natale, festa del sol oriens) siamo al sole “colpito a morte”, quello che inizia a decrescere accorciando le giornate. Fine delle feste di fuoco, insomma, e – mi sembra – nel migliore dei modi.

    Ritorno, a mani piene. 🙂

  5. lavelle il said:

    Non conoscevo i fuochi di Sant’Antonio, ma ho sentito parlare di quelli di San Giovanni, del 24 Giugno.

    San Giovanni Battista è il patrono di Torino

    La festa torinese di San Giovanni Battista che si celebra ogni anno nel capoluogo piemontese la sera e la notte del 23 giugno, costituisce certamente la punta di diamante della ritualità, per certi aspetti “pagana”, della tradizione piemontese.

    Prima che il Cristianesimo ritualizzasse nella propria tradizione cultuale la festa solstiziale dedicandola a San Giovanni, i giorni del solstizio d’estate erano tradizionalmente dedicati ai culti naturalistici consacrati al sole.

    Il culto del solstizio con la celebrazione del sole, sono espressioni della tradizione religiosa di cui abbiamo ampia testimonianza fin dal passato più remoto, quando la natura costituiva l’oggetto principale delle celebrazioni rituali.

    Per alcuni la festa di San Giovanni sarebbe la trasformazione di un antico culto solare , che rivela quindi una radice ben assestata nella tradizione rituale precristiana. I rituali legati a San Giovanni, non ancora spenti nel folklore di molti paesi, possono quindi essere posti in relazione alle feste solstiziali precristiane, in cui si celebrava la morte – rinascita del ciclo stagionale.

    Di conseguenza molti atteggiamenti tipici della festa furono intesi come pratiche demonizzabili e quindi da esorcizzare attraverso la morale delle chiesa cristiana. A livello popolare però, queste pratiche non si sono spente e hanno mantenuto una propria vitalità, conservando alcune caratteristiche invariate: il fuoco, i giochi, le sfilate, le danze, il coinvolgimento collettivo in un falò finale, forse ultima memoria di un’antica trasgressione. Anche sulla base di questa tradizione si andò affermando la credenza che la notte di San Giovanni fosse il momento dedicato alla celebrazione dei rituali delle streghe, in Piemonte archetipizzate nelle memoria collettiva attraverso lo stereotipo della masca.

    Un’altra pratica legata a San Giovanni è quella che propone di danzare intorno alle grandi pietre, considerate cariche di poteri magici tale esperienza si collega al ballo intorno al falò, che pur avendo caratteristiche formali diverse, risulta un soggetto simbolico importante nel meccanismo rituale del culto solstiziale.

    Trascorrendo la notte nelle piazze e in campagna, presso fonti e fiumi, non solo si cantava e si danzava per tutta la notte, ma si facevano presagi, si prediceva la sorte a chiunque sopraggiungesse e si raccoglievano erbe e foglie che venivano battezzate nelle acque da compari e comari, per essere religiosamente conservate in casa, appese alle pareti, per tutto l’anno”

    Durante la festa di San Giovanni anche l’acqua era considerata magica: infatti il bagno in mare nella notte del 23 giugno serviva a far passare alcune malattie.

    In sostanza, quasi in tutte le località in cui sopravvive la festività del 24 giugno, il tema dominante che si è conservato con maggiore frequenza è quello relativo al falò ( a Torino chiamato farò), intorno al quale si ballava e cantava (a Torino questa pratica è chiamata balloira).

    In più occasioni, il motivo del falò è stato posto in diretta relazione al sacrificio: l’accostamento è plausibile e troverebbe nei fantocci posti sulla catasta – in alcune feste- nel lancio di oggetti, o addirittura nell’uccisione di animali, una sorta di rielaborazione delle più cruenti pratiche pagane.

    A Torino la festa di san Giovanni -ancora oggi parte integrante del folklore piemontese, grazie all contributo dell’Associassion Piemontéisa- è documentata a partire dal XVI secolo. Ma non vi sono motivi storici per escluderne la presenza nei periodi precedenti.

    Oltre alla processione, al falò e alla balloira per l’occasione veniva anche celebrata la messa dall’arcivescovo direttamente nel duomo, che poi guidava la processione davanti alla numerosa folla intervenuta.

    A partire dal XIV secolo, il comune provvide anche ad ufficializzare certi componenti della festa, dando ai trombettieri (trombadotores) e ai venditori di caramelle (caramelator) una tonaca e il cappuccio.

    Altre manifestazioni organizzate in occasione della festa di San Giovanni erano il tiro con l’archibugio e l’elezione di un “re” della balloira: quest’ultimo era esente da servizi di ogni genere e godeva di altri piccoli privilegi.

    …se a qualcuno può interessare

    ciao Massimo

  6. anonimo il said:

    Tra testo e commenti, addirittura un trattato di folclore applicato. Caspita!

    ASSI

  7. colfavoredellenebbie il said:

    Operazione preziosa: non lasciare che le cose accadano (e finiscano) e basta; cercare invece di salvare i segni di un territorio e di una identità.

    Grazie.

    Qui nella mia zona i riti del fuoco sono concentrati nel giorno dell’Epifania.

  8. cicabu il said:

    Qui nel basso Piemonte non ci sono riti del genere..solo a Carnevale si fa’ il falò in piazza ma non sempre…

    Notte paesanino..lo sai quanto mi piace leggere di queste tradizioni che spesso non conosco..^^

    ps..adoro i gatti..tu no?

  9. giasto04 il said:

    Complimenti, davvero, a Giovanni Mascia, per questo estratto di spiccato valore tradizionale..

    Di fatto, cosa sempre più rara..

    Oltre che al nostro Mascia, un caro saluto anche a te, Paesanino..;-)

  10. GiMascia il said:

    Ringrazio gli amci, con un grosso rammarico: con la primavera di quest’anno i fuochi oltre alla funzione rituale recuperano la funzione propria che è quella di scaldare: fa freddo e piove come in inverno, roba che non si ricorda a memoria d’uomo.

    Saluti

    Giovanni

  11. anonimo il said:

    I fuochi mi ricordano la mia infanzia…quando da piccolo, a gruppi di ragazzini andavamo per “ceppe”.Intere giornate dedicate alla ricerca di legna.Ricordi che danno calore, che riportano indietro la mente a quelle serate calde,(la primavera allora si faceva sentire),a quando udivi il canto delle cicale e andavi alla ricerca di lucciole da catturare e mettere in una bottiglia…com’era bello..

    Saluti e complimenti..

    Giancarlo Cofelice

  12. Torrisi il said:

    mi sa che i vostri fuochi di Sant’Antonio quest’anno li dobbiamo accendere sulle spiagge eheh ;-))

    Luca

  13. anonimo il said:

    Caro Giovanni, grazie per queste informazione sui fuochi a Sant’Antonio. Un caro saluto

    GS

  14. Anchise1 il said:

    Il culto di donare pagnottelle di pane nel giorno di s . Antonio e’ legato ad uno dei miracoli del santo: guari’ un bambino e invito’ i genitori a donare ai poveri tanto grano quanto era il peso del bimbo.

    La tradizione del pane e’ arrivata dal Veneto in tempi non antichissimi, e si e’ svolta sempre allo stesso modo, anche oggi che i poveri non ci sono piu ‘. Le pagnotelle , preparate per l’occasione, si collocano in un ampio cesto e si fanno benedire , di solito alla prima messa, e vengono poi distribuite. Per devozione, prima di mangiarle, si baciano, segnandosi col segno di croce e recitando una preghiera.

    S.Antonio è il Santo dei miracoli, il Santo che viene implorato sopratutto nelle disgrazie e nei momenti più difficili della vita.

  15. anonimo il said:

    BELLISSIMA USANZA…..
    MANTEIAMOLA IN VITA,
    L'ANNO TRAMANDATA  I NOSTRI GENITORI
    AMCHE NOI LA TRAMANDIAMO AI NOSTRI…
    FIGLI… SPERANDI CHE ANCHE LORO FACCIANO ALTRETATO
    ..
    BENITO – BUONAMOTTE A TUTTI.CIAO

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